Interviste Primo Piano

FABER Racconta: intervista a Vincenzo Calabrò e Angelo D’Amante di Mdm team srl

10 Giu 2025

MDM Team ha preso parte al programma FABER per due edizioni, accogliendo prima Vincenzo Calabrò e, a distanza di qualche anno, Angelo D’Amante. Un percorso che racconta come il rapporto tra ricerca e impresa possa svilupparsi nel tempo, accompagnando l’evoluzione di una realtà imprenditoriale nata come spin-off accademico e oggi diventata azienda riconoscibile nel settore.  

In questa intervista, Vincenzo e Angelo ripercorrono le tappe principali della loro esperienza con FABER: dal primo inserimento in azienda alla definizione condivisa degli obiettivi di ricerca, fino alla trasformazione del lavoro tecnico in soluzioni concrete per il mercato. Un dialogo che riflette il potenziale del programma nel creare connessioni efficaci tra ricercatori e imprese, con uno sguardo sempre rivolto all’impatto pratico della ricerca.

MDM Team ha accolto due progetti FABER in due momenti diversi. In che modo credi che questa continuità con il programma abbia influito sulla crescita e sull’evoluzione delle attività di ricerca all’interno dell’azienda?

Vincenzo: Quando sono entrato con il progetto FABER, MDM era molto più piccola, ancora uno spin-off. Oggi siamo una società strutturata a tutti gli effetti. La partecipazione a FABER è stata fondamentale: guardando indietro, riuscire ad attrarre figure professionali giovani è stato un valore enorme. Le aziende giovani devono competere con grandi realtà che offrono condizioni molto più vantaggiose. Inserirmi in azienda attraverso FABER ha permesso di sviluppare rapidamente soluzioni che hanno fatto crescere l’azienda. È stato un investimento che altrimenti sarebbe stato difficile da sostenere. Ci siamo affidati di nuovo a FABER perché crediamo molto nel meccanismo che mette in contatto ricercatori e imprese: è un’opportunità per entrambe le parti.

Prendere un ricercatore con una forma mentis diversa arricchisce l’azienda. Alla fine del percorso, quella figura è cresciuta in qualità. Con Angelo siamo stati particolarmente fortunati: aveva già svolto un percorso interno con noi prima di FABER. È stato seguito e formato nel tempo. MDM, da questo punto di vista, è un po’ un unicorno: abbiamo una percentuale altissima di ricercatori rispetto alla media. In molte aziende trovi tanti laureati, ma pochi dottori di ricerca.

Guardando al futuro, secondo voi quale ruolo dovrebbero avere bandi come FABER per favorire l’impatto concreto della ricerca sul territorio?

Vincenzo: Progetti come FABER hanno un impatto fortissimo sul territorio. Spesso il dottorato, da solo, rischia di rimanere autoreferenziale. FABER, invece, collega ricerca e azienda: dà al ricercatore un know-how spendibile sul mercato. È un circolo virtuoso che spero venga sempre più promosso e finanziato. Penso alla nostra sede di Pistoia: lì abbiamo sviluppato soluzioni all’avanguardia. Innescare contaminazioni, portare nuove tecnologie, aumentare il know-how di tutti. Noi lavoriamo per creare conoscenza collettiva.

Siamo stati invitati a rappresentare l’Italia all’Expo di Dubai nel Padiglione Italia. Una microimpresa di Pistoia che arriva a quel livello… significa essere attrattivi, valorizzare il territorio, portare persone in Toscana. E la nostra affidabilità è percepita anche da grandi industrie. Partecipiamo a progetti importanti per le nostre competenze: sediamo a tavoli con aziende molto più grandi, ma da pari.

Angelo: Posso raccontare l’impatto che ha avuto su di me. All’inizio avevo escluso l’idea del dottorato: per me la ricerca era qualcosa di pratico, e grazie a MDM l’ho sperimentato già a partire dalla tesi. Quando mi hanno parlato di FABER, ho capito che poteva essere il modo giusto per portare innovazione e know-how in azienda. Lavorare con un CTO come Vincenzo Calabrò per me rappresenta il 50% del valore di questa esperienza: ho una guida vera, concreta. Mi confronto con chi fa un dottorato “classico” e la differenza è evidente. Sotto la guida di chi mi dice come affrontare le sfide che il dottorato propone, è più semplice poter far progredire l’apporto tecnologico.

Qual è l’obiettivo del progetto di ricerca di Angelo per FABER 5? Come si inserisce all’interno del lavoro di MDM?

Vincenzo: L’obiettivo progettuale è stato costruito insieme, trovando un punto di incontro tra quello che serviva a noi e quello che Angelo voleva sviluppare. Il focus è sull’image processing: estrarre e migliorare dati che siano davvero utili per chi acquista i nostri prodotti. Per esempio, chi compra una boa di monitoraggio vuole un dato preciso, non lo strumento in sé. La vera sfida è ottenere dati migliori di quelli grezzi, combinando tecnologie. È un proseguimento del lavoro che ho fatto io anni fa, quando l’obiettivo era far muovere autonomamente i veicoli. Ora, abbiamo raggiunto questo obiettivo e valorizziamo i dati. È importante contaminarsi tra competenze. Quando le persone condividono il proprio know-how, tutto funziona meglio. E il fatto che Angelo stia completando un pezzo che ci mancava, con spirito tecnologico, è per noi un valore aggiunto enorme.

Angelo: Io dico sempre che ho avuto la fortuna di poter fare ciò per cui ho studiato. Ho sempre amato l’ambito delle immagini. L’università mi ha dato la teoria, ma in MDM ho trovato l’ambiente per metterla in pratica. Con Vincenzo ho potuto approfondire quel filone. Lavoriamo su immagini ottiche ma anche acustiche. Cerchiamo soluzioni che siano affidabili, che funzionino davvero. Questo è il modo MDM: fare cose che funzionino, che siano reliable.

Vincenzo, guardando indietro alla tua esperienza con la seconda edizione del bando FABER, quali risultati hai potuto consolidare nel tempo grazie al programma? Come si sono evoluti gli obiettivi iniziali?

Vincenzo: Quando sono entrato, MDM era ancora molto legata al mondo accademico e lontana dal concetto di prodotto. All’inizio, eravamo un gruppo di ricercatori che volevano “dimostrare” di saper fare qualcosa. Oggi l’approccio è cambiato: affrontiamo sfide complesse con leggerezza e consapevolezza. Abbiamo più strumenti e più esperienza.

Un esempio recente: Angelo è stato in mare per una settimana per raccogliere dati. Con tutte le difficoltà del caso, è riuscito a concludere il trial, e chi ha lavorato con lui ci ha scritto per ringraziarci. Questo dimostra la qualità del lavoro e la direzione giusta in cui stiamo andando.

Come siete riusciti a modificare il mindset?

Applichiamo il principio di Pareto anche al design: l’utente usa solo il 20% delle funzionalità di un prodotto, l’80% non è necessario: per questo l’interfaccia deve essere semplice. Pensiamo ai nostri veicoli: sono molto complessi, ma chi li usa deve poterli gestire facilmente. Angelo ha visto questo approccio applicato in Grecia, interfacciandosi con biologi e oceanologi. È fondamentale progettare ascoltando chi lavora sul campo. La difficoltà più grande è identificare quel 20% essenziale. Chi ha una mente tecnica, spesso tende a complicare, ma confrontandosi con chi dovrà utilizzare il prodotto è possibile comprendere come progettarlo e svilupparlo al meglio. 

Angelo, qual è il tuo obiettivo durante questo percorso di ricerca?

Angelo: Il mio obiettivo è sempre lo stesso: creare qualcosa. A me piace creare, è il mio stile di vita. È un’attitudine che mi ha tramandato mio nonno e l’ho riscoperta nell’ingegneria. MDM mi ha dato lo spazio per esprimermi. Quando ho un’idea, non ho paura di condividerla. Ovviamente ho ancora tanto da imparare, ma il mio desiderio è diventare una figura sempre più affidabile, poiché per me l’affidabilità è importante tanto quanto la qualità di ciò che produco. FABER mi dà la possibilità concreta di avvicinarmi a questo traguardo.